Leggendo la splendida descrizione del trabucco che D'Annunzio fa nel Trionfo della Morte si riesce quasi a sentirne l'odore. Odore di legno ma anche di salsedine e di alghe che, sebbene sia riferito al Trabocco Turchino abruzzese, è tipico delle zone portuali di tutte le città di mare. Perché la storia dei trabucchi molisani non è altro che questo: un tuffo nella parte più verace del mare, che poco ha a che vedere con ombrelloni o tramonti romantici.
Le due maggiori antenne verticali, sostenute alla base da piuoli di tutte le grossezze, s’intersecavano s’intralciavano congiunti tra di loro per mezzo di chiodi enormi, stretti da fili di ferro e da funi, rinforzati con mille ingegni contro le ire del mare. Due altre antenne, orizzontali, tagliavano in croce quelle e si protendevano come bompressi, di là dalla scogliera, su l’acqua profonda e pescosa.
Alle estremità forcute delle quattro antenne pendevano le carrucole con i canapi corrispondenti agli angoli della rete quadrata. Altri canapi passavano per altre carrucole in cima a travi minori; fin negli scogli più lontani eran conficcati pali a sostegno dei cordami di rinforzo; innumerevoli assicelle erano inchiodate su per i tronchi a confortarne i punti deboli. La lunga e pertinace lotta contro la furia e l’insidia del flutto pareva scritta su la gran carcassa per mezzo di quei nodi, di quei chiodi, di quegli ordigni. La macchina pareva vivere d’una vita propria, avere un’aria e una effigie di corpo animato. Il legno esposto per anni e anni al sole, alla pioggia, alla raffica, mostrava tutte le fibre, metteva fuori tutte le sue asprezze e tutti i suoi nocchi, rivelava tutte le particolarità resistenti della sua struttura, si sfaldava, si consumava, si faceva candido come una tibia o lucido come l’argento o grigiastro come la selce, acquistava un carattere e una significazione speciali, un’impronta distinta come quella d’una persona su cui la vecchiaia e la sofferenza avesser compiuto la loro opera crudele.
G. D'Annunzio, Trionfo della Morte
Con questo curioso nome ci si riferisce ad una particolare macchina da pesca. Se a prima vista, infatti, i trabucchi possono sembrare delle strane palafitte, se li si osserva meglio si noterà la presenza di travi e funi. Ogni corda o asse di legno è messa con uno scopo preciso: muovere le reti che servono a catturare quanto più pesce possibile.
Semplificando, funzionamento del trabucco si basa su un sistema di argani che calano in mare grosse reti. Nel momento in cui le vedette avvistano i banchi di pesce, le reti vengono issate trascinando fuori dall'acqua le prede. Ovviamente non vengono costruiti in punti casuali ma nei punti in cui il pesce, avvicinatosi a riva per via delle correnti, ritorna verso il mare aperto. È proprio qui che troverà il trabocchetto, scherzo fatale da cui probabilmente deriva il nome trabucco.
Tipiche di tutta la costa che va dall'Abruzzo al Gargano, queste costruzioni in legno presentano delle diversità. Al di là del nome, che a seconda dei dialetti locali varia appunto da trabocchi a trabucchi, ci sono anche delle differenze costruttive.
La più sostanziale riguarda la direzione lungo la quale il trabucco si sviluppa e dipende dalla morfologia del territorio. Lungo la costa garganica, infatti, il trabucco si sviluppa parallelamente alla costa. Questo perché, essendo il litorale frastagliato e roccioso, il trabucco viene agganciato ai piccoli promontori e disposto lungo l'insenatura che si crea. Diversamente, in Abruzzo e Molise, dove la costa è più regolare e il livello meno profondo, il trabucco si sviluppa trasversalmente al litorale. Si tratta quindi di una palafitta collegata alla riva da una passerella di assi di legno.
Un'altra differenza riguarda il numero di antenne, ovvero quei bracci che, collegati agli argani, muovono le reti. Nei trabucchi lungo il Gargano sono solitamente in numero superiore mentre, in quelli molisani e abruzzesi, sono due al massimo.
Come spesso avviene nelle tradizioni popolari, anche per quanto riguarda la storia dei trabucchi molisani non è facile ricostruirla. Secondo alcune fonti, infatti, i primi trabucchi sarebbero sorti nel XVIII secolo mentre secondo altre, questi sarebbero da attribuire addirittura ai Fenici.
Ad ogni modo, il primo trabucco del Molise viene tradizionalmente associato a Felice Marinucci, un pescatore termolese che intorno al 1850 ne vide uno dalle parti di Ancona. Tornato nella sua città decise di costruirne uno, ancora oggi ben conservato, nella Marina di San Pietro. Fu ben presto imitato e circa un secolo dopo la costa molisana ne contava parecchi. Un tale successo fu dovuto alla possibilità che queste costruzioni offrivano di assicurarsi il pescato, e dunque il sostentamento, anche in condizioni meteo avverse. Prendere il mare in inverno, infatti, rappresentava un grosso rischio in epoche in cui la tecnologia non era avanzata come oggi. Di contro, rinunciare a salpare per paura di morire in mare, significava rischiare di morire di fame, trascinando con sé l'intera famiglia.
Purtroppo oggi sono pochi i trabucchi che hanno resistito al tempo ed alle intemperie. Le cause di una tale perdita sono da attribuirsi da un lato al crescente disuso e, dall'altro, alla diffusione sempre minore di maestranze per la costruzione e la manutenzione. E il futuro purtroppo non sembra essere più roseo per queste incredibili costruzioni, dal momento che appartengono tutte a privati che spesso non hanno né l'interesse né la potenza economica per prendersene cura.
Nella speranza che possa essere la Regione a farsene carico in nome della loro tutela, quello che possiamo fare è suggerirvi di fare una passeggiata alla scoperta dei trabucchi.
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