Parlare del Molise, in ogni sua forma, vuol dire parlare del lavoro. La regione, infatti, ha sempre affondato le sue radici nel lavoro dei campi, nell'artigianato e nel sudore degli antenati che, generazione dopo generazione, hanno costruito con le proprie mani questa terra che oggi tanto amiamo. E se questo è vero per tutte le regioni d'Italia (e d'Europa), quello che caratterizza il territorio molisano è l'esistenza ancora oggi di antichi mestieri che altrove sono scomparsi. Certo oggi si praticano in forma diversa, più moderna, magari riscoperti da giovani artigiani o aziende a conduzione familiare, ma sono pur sempre eredità di una cultura del darsi da fare che da sempre si intreccia alla vita quotidiana. Parlare del lavoro in questa regione significa raccontare di un Molise che esiste e resiste nelle botteghe, nei gesti, nei nomi di attrezzi e mestieri e in tutte quelle usanze che, malgrado tutto, sopravvivono al tempo.
Nell'eredità lavorativa che la storia ha consegnato a questa regione, l'artigianato ha certamente un ruolo centrale.
Tra le produzioni di cui il Molise può vantarsi, vi è una lunga tradizione nella lavorazione del cuoio, ancora presente in centri come Campobasso, Bojano, San Martino in Pensilis e Sant’Elia a Pianisi, che rimane uno dei mercati più importanti per questa attività.
Parlando di artigianato, è quasi d'obbligo citare le campane di Agnone, prodotte dalla Fonderia Marinelli, la più antica fornace d'Europa fondata prima dell’anno Mille di cui vi avevamo parlato in questo articolo. La fonderia, con la sua millenaria sapienza fatta di incredibili decorazioni, si inserisce nel più ampio panorama della lavorazione dei metalli che proprio ad Agnone ha rappresentato per secoli una colonna portante dell'economia e di cui si fa testimone il Museo Storico del Rame.
Un'altra importante produzione regionale è quella che riguarda coltelli e forbici a Frosolone. Antico centro di eccellenza per la produzione dei ferri taglienti già al tempo del Regno di Napoli, la città ha visto quest'antica arte, che rappresenta ancora oggi un'attività redditizia e rilevante, fiorire tra il XIV e XV secolo.
Vi è poi la produzione artigianale di strumenti musicali, come il bufù e la zampogna. Di quest'ultima, in particolare, a Scapoli se ne creano due tipi: la zampogna “con chiave” e “la zoppa”. Durante il periodo natalizio, gli zampognari scendevano dai monti indossando i tradizionali giubbotti di montone e i cappelli con nastri rossi, per accompagnare la novena con le loro melodie in coppia con la ciaramella.
Sempre rimanendo in tema artigianato, vanno certamente citate Campobasso e Isernia. Nella prima si tramanda la tradizione del traforo in acciaio: una tecnica introdotta nel XVIII secolo che consente di realizzare veri e propri ricami metallici, ancora oggi applicata su forbici e coltelli decorati a mano. Nella seconda, invece, sopravvive l’arte del merletto al tombolo, introdotta nel Quattrocento dalle suore del convento di Santa Maria delle Monache e di cui vi avevamo già parlato in questo articolo. Le merlettaie utilizzano ancora oggi il “pallone” e i “tummarielli”, strumenti tipici di questa tradizione, per creare corredi e tessili raffinati, veri capolavori di pazienza e maestria.
Tra le abilità artigiane rimaste in vita c’è anche la lavorazione dell’argilla, un tempo molto diffusa tra i cosiddetti “pentolai”, che realizzavano a mano tegami e stoviglie. Anche se oggi restano pochissimi maestri del tornio, questa pratica conserva un forte valore simbolico e culturale.
Sebbene non si tratti di artigianato in senso stretto, ci sono poi tanti piccoli caseifici in cui si utilizzano ancora tecniche antichissime. Certo sono cambiati i materiali degli attrezzi, a favore di altri più idonei al contatto con gli alimenti, sono migliorate le condizioni igieniche, ma i procedimenti rimangono quelli di un tempo, specie per il caciocavallo a latte crudo come quello prodotto dallo storico caseificio Di Nucci. Ed è proprio all'interno dell'arte casearia che si inseriscono le figure legate alla transumanza: pastori, massari, cascieri, butteri e carosatori. Ognuno con un compito preciso, ognuno indispensabile in un sistema economico e culturale basato sul movimento stagionale delle greggi. Ancora oggi, in alcuni periodi dell’anno, è possibile assistere alla transumanza: un viaggio collettivo che rappresenta un rituale antico e profondamente identitario.
Se fino ad ora abbiamo parlato di mestieri che sopravvivono, è pur vero che ce ne sono altri che, seppure hanno resistito fino a pochi decenni fa, oggi sono definitivamente scomparsi. È ad esempio il caso degli scalpellini di Civitacampomarano, un tempo noti ben oltre i confini regionali per la loro abilità nel lavorare la pietra.
Accanto a loro tanti altri: i maccaronari, che riparavano e vendevano la “chitarra per maccheroni”; i seggiai, specializzati nell’impagliare le sedie; i setacciai, artigiani che costruivano e riparavano i setacci per la farina; e ancora gli ombrellai, i barbanera (venditori di almanacchi) e i santarellari, che offrivano immagini sacre nei mercati o durante le feste di paese.
C’erano poi mestieri legati alla vita comunitaria, come i “diesillari”, che andavano a pregare per i defunti nelle case colpite da un lutto (dal verso della preghiera “dies illa”, ovvero il giorno del giudizio). E poi le capellere, le antenate delle parrucchiere moderne, che pettinavano a domicilio nelle giornate di festa o per i matrimoni. Questi lavori si tramandavano di generazione in generazione, senza scuole né manuali, grazie ad un apprendistato quotidiano, familiare, fatto di osservazione e ripetizione, in un contesto dove il tempo aveva un altro ritmo e il saper fare era una forma di sopravvivenza e dignità.
Non mancano poi testimonianze della tradizione tessile domestica, in particolare nella tessitura e nella filatura della lana: un lavoro prettamente femminile che si svolgeva soprattutto nelle stalle durante le sere d’inverno, tra calze, scialli, coperte e racconti tramandati a voce.
La memoria del lavoro non è solo nostalgia ma una chiave per capire il presente e forse anche una strada per il futuro. E oggi più che mai questa chiave si rivela necessaria per tutti quei giovani che scelgono di restare o tornare, investendo nelle proprie radici. Così, tra saperi antichi e nuove energie, il Molise esiste e resiste non solo come luogo, ma come modo di stare al mondo.
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Gramegna M., Tradizioni Popolari Molisane, Palladio Editore, Campobasso 2002
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, Segretariato Regionale per il Molise
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